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sabato 16 marzo 2013

Appunti sul sentimentalismo

Uno degli aspetti meno discussi riguardo al gusto letterario è il principio di esclusione: non ciò che in un’opera viene  apprezzato, ma ciò che è proibito.

Nel panorama della fiction contemporanea, uno dei più grandi divieti cade sotto il nome di ‘sentimentalismo’. Vivendoci all’interno di questo panorama, è difficile percepirlo per ciò che esso è:  di fatto nient’altro che una nostra allergia, analoga a quella che nel periodo vittoriano si manifestava contro l’‘immoralità’ in letteratura. Il sentimentalismo, come qualsiasi critico o scrittore potrebbe dirvi, è ‘sbagliato’.  Ma non si può affermare, basandosi su prove concrete, che il sentimentalismo sia scorretto o falso, o che esso in qualche modo distorca l’esperienza umana, dato che i momenti sdolcinati sono parte della nostra vita.

Un esempio personale: ci sono cose che mio figlio ha detto mentre suo fratello gemello era in ospedale che sono così strazianti che io, semplicemente, non potrei inserirle in un romanzo. Ci sono stati momenti, intere sequenze di scene, che non potrebbero essere trascritte in un’opera di narrativa, in quanto il mio lato critico e artistico, quella parte di me che giudica  cosa può finire in un racconto e cosa no, le giudica troppo sentimentali.
Ora prendiamo la storia (è accaduto sul serio, a un’infermiera) di una donna che sta per diventare madre e scopre all’inizio della gravidanza che il bambino che sta aspettando ha una malattia che non gli consentirà di vivere. Decide di portare comunque a termine la gravidanza e donare gli organi ad altri neonati, e resta in contatto con quei bambini per tutta a vita, fino ad oggi, diventando la nonna in una famiglia estesa. Questa è vita vera, potreste leggerla su un bollettino della vostra chiesa, o sul Readers’ Digest o da qualsiasi altra parte, ma non troverete mai niente di simile nella fiction ben confezionata e ‘letteraria’.

I ‘buoni’ artisti escludono istintivamente gli elementi che,  pur essendo parte della vita, potrebbero essere ‘sbagliati’ in termini artistici. Il pudore vittoriano guardava in questi termini al linguaggio sessuale. Charles Dickens, ovviamente, sapeva che la gente faceva sesso, ma non ne avrebbe mai parlato in un romanzo. Era ‘sbagliato’. Può essere che fosse considerato sbagliato per motivi diversi (perché era indecente) ma era anche sbagliato in senso artistico, e la sua conoscenza del pubblico lo frenava dall’essere troppo esplicito, tanto nelle scene quanto nei dialoghi.  Allo stesso tempo, Dickens era libero di congegnare una scena nella quale, mettiamo, un orfano tubercolotico si offre di morire sulla ghigliottina al posto di una sartina vergine. Oggi è possibile inserire in un romanzo ogni sorta di riferimenti sessuali espliciti senza che l’opera venga tacciata di immoralità o indecenza; il sentimentalismo, al contrario, verrà attaccato sempre e comunque.

Il temperamento critico di un’epoca ne forgia la creatività e non soltanto in termini di domanda/offerta, ossia incoraggiando gli scrittori a produrre ciò che sarà apprezzato dal pubblico e dai critici. Il temperamento critico di fatto costringe ai margini intere parti dell’esistenza per creare un ritratto che si accordi all’idea del mondo in vigore. Così un’epoca puritana come quella Vittoriana attaccherà l'immoralità, mentre un’epoca cinica  ironica come al nostra si scaglia contro il sentimentalismo.


L'articolo originale, «A Note on Sentimentality» è di Amit Majmudar, pubblicato il 7 Marzo 2013 su The Kenyon Review. [link]

Traduzione: Assunta M.

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